Il Dojo di Wingy

Wingy è uno dei sei passeri che abitano sotto le tegole del tetto del nostro ufficio.

Lo chiamiamo così perché ha una piccola striscia bianca su entrambe le ali, che lo rende ben riconoscibile in mezzo agli altri.

In foto potete vedere il Dojo in cui Wingy e i suoi compagni si esercitano. Il Dojo è il nostro balcone su cui sparpagliano il becchime che mettiamo loro.

Dettaglio di Wingy in hidari hanmi. Se ce la fa lui…

Vediamo alcune similitudini tra un Dojo di passeri e uno frequentato da bipedi.

I passeri frequentano il balcone per curiosità e sostano a lungo quando c’è da mangiare

Gli umani…Pure. I primi tempi la curiosità è tanta, pari soltanto alla confusione e allo smarrimento di fronte a un ambiente nuovo, nuove regole sociali e nomenclatura giapponese. Ma man mano che si organizzano serate al pub o in pizzeria dopo gli allenamenti e momenti conviviali sul tatami, l’atmosfera si rilassa.

Da Wingy e compagni possiamo imparare quindi che la convivialità è importante almeno quanto l’aspetto tecnico. Crediamo fermamente che non ci sia possibilità di crescita armonica in un percorso in cui il gruppo e la relazione con il suo insegnante sia relegata solo nella cornice degli orari di allenamento.

I passeri passano dal caos a un caos ordinato

La frenesia alimentare rende gli animali voraci e precipitosi. Il freddo rende i passeri famelici e la fame vince la diffidenza. Una volta rotti gli indugi, per il primo quarto d’ora i passeri non conoscono regole. Si avventano sul cibo, cercano di scacciare i loro simili che si avvicinano. Una volta capito che ce n’è per tutti, si nota che il gruppo si autoregola e ognuno accede al cibo in un preciso ordine senza andare a urtare gli altri.

E gli umani? Sul tatami ci sono fondamentalmente tre tipi di voracità: intellettiva, prestazionale e quella da sindrome pre-esame.

Voler sapere tutto, voler imparare a padroneggiare le tecniche, voler portare il proprio corpo ad eseguire vere e proprie acrobazie. Sono desideri che abbiamo in qualche modo provato tutti e che poi hanno iniziato a svelarsi. La conoscenza intellettuale è importante ma non dispensa dalla fatica fisica, anzi, a volte ostacola l’espressione fluida del movimento. La perizia tecnica non fa di un robot un essere senziente. La ricerca del gesto acrobatico svela i limiti strutturali del corpo e apre la porta alla frustrazione che nasce dalla mediazione tra ciò che si vorrebbe fare e ciò che si può davvero fare.

La terza voracità si palesa quando ci si avvicina a un esame. Raramente si assiste a un percorso bilanciato. Più spesso si nota una progressione stressogena, un provare e riprovare maniacale.

L’autoregolazione di questi fenomeni non è di solito spontanea. Da un lato il praticante deve letteralmente sbattere il naso contro i suoi limiti. Deve capire che non si può imparare tutto, che non tutto è utile, che la preparazione di un esame -anzi, l’esame stesso- inizia un secondo dopo l’esame precedente.

Questo processo non è lineare. Nella maggioranza dei casi occorrono dei rimandi dell’insegnante, dei compagni, del proprio fisico. Rimandi che quasi sempre non solo non fanno piacere ma vengono ignorati o travisati. Si passa in questi casi da un caos a un caos meno evidente ma forse più pericoloso, perché è coperto da regole ma continua a divorare le energie individuali. Se si riesce a sopravvivere a se stessi, alla propria sordità, all’immaturità propria quando non dell’insegnante, si giunge finalmente a una maggiore strutturazione del proprio percorso.

In conclusione: i passeri ci mettono molto meno a darsi una regolata.

I passeri sporcano

Non essendo stati ancora inventate né le toilette per gli uccellini, né i pannolini, è ovvio che il Dojo dei passeri è punteggiato dei loro escrementi. Ovunque.

Un Dojo tradizionale di solito prevede turni di pulizia alla fine di ogni sessione di allenamento. E’ un modo per prendersi cura di se stessi attraverso ciò che è (o dovrebbe essere) fondamentale per tutti: decoro, igiene, senso di accoglienza.

La realtà dice che la maggioranza dei luoghi di pratica trova ospitalità in strutture in cui l’igienizzazione dei tatami, degli spazi comuni e degli spogliatoi è una chimera.

Sempre la realtà dice che, messi con uno straccio e un secchio in mano, molti -specialmente maschi ma con crescenti eccezioni nel gentil sesso- non sanno che pesci pigliare. O spalmano lo sporco senza pulire.

Imparare o re-imparare a tenere davvero pulito un ambiente non è banale ma anche questo è importante almeno tanto quanto sapere il programma tecnico a memoria.

Se poi volessimo passare dal piano tangibile a quello intangibile e parlare di pulizia a livello etico e morale… Ma le considerazioni sarebbero da un lato impossibili, perché il cuore umano ha delle parti insondabili e, dall’altro, sarebbero fin troppo ovvie.

In conclusione: i passeri sporcano ma non hanno inventato il sapone. Gli umani sporcano e spesso i pochi puliscono lo sporco dei molti. In tutti i sensi.

I passeri sono totali

Come tutti gli animali, del resto. Mangiano quando hanno fame e quando riescono a trovare di che nutrirsi. Volano se c’è da volare. Cinguettano con tutta la loro forza. E, quando non ne hanno più, chiudono gli occhi e si addormentano.

Così, tutti i giorni, fino a quando c’è una scintilla di vita ad animarli.

Noi? Noi abbiamo imparato dall’esperienza ad accumulare per un dopo che a volte non viene mai. Differire la gratifica è essenziale per poterne avere in modo costante. Ma a volte succede di vivere con il freno a mano sempre tirato. Quindi anche sul tatami, che potrebbe e dovrebbe diventare quel luogo sicuro in cui vedere che cosa succede se per un paio di ore proviamo anche noi a cinguettare con tutta la nostra forza, come del resto facevamo da bambini. E vedere se cambia qualcosa nelle nostre esistenze perennemente rimandate.

Concludendo

Chissà, forse il passero istintivamente conosce la verità ribadita in questo versetto

Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? (Matteo, 6,26).

Di certo in questi giorni di inverno a nutrirli è la nostra mano che versa in un piattino briciole di biscotti e granaglie.

Recuperare il senso della pratica come un prendersi cura di se stessi prendendosi cura degli altri.

Diventare le mani visibili di un ordine invisibile eppure reale.

Solcare il cielo della vita nel qui e ora di un lavoro da portare a termine, di una tecnica da perfezionare, di un compagno a cui sorridere.

Buon Natale!

Andrea e Sara

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1 Comment

  1. Quanto è bello essere la mano di quel “Padre” che nutre i passeri servendosi delle nostre briciole! E quanto siamo disposti a diventare anche noi briciole che nutrono altri?

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